PATOLOGIE COMPORTAMENTALI DEL PAPPAGALLO
PATOLOGIE COMPORTAMENTALI DEL PAPPAGALLO
Ansia, disturbi dell’attaccamento, difetti di socializzazione, fobie tra gli argomenti del Corso di medicina comportamentale SIVAE
La raccolta anamnestica in corso di visita comportamentale avviene suddividendo i comportamenti con la stessa metodica utilizzata nella classificazione dei comportamenti normali: si distinguono dunque il comportamento alimentare, dipsico, somestesico, sessuale, eliminatorio, di aggressione, il sonno e il gioco. Per meglio comprendere la relazione con il proprietario si chiede anche la descrizione di una “giornata tipo” del paziente. Il metodo di classificazione delle patologie, o nosografia, fa riferimento alla teoria elaborata da Patrick Pageat, che ha forti legami con la psichiatria.
L’ansia
Molto frequentemente negli psittacidi ad un’entità nosogafica si associa uno stato ansioso, in alcune patologie come i problemi di socializzazione o le fobie è quasi una costante. L’autodeplumazione si accompagna pressoché costantemente con l’ansia, anche se non sono presenti altri elementi dell’ansia permanente come l’inibizione o la riduzione delle attività, o non sono molto evidenti. Spesso l’inibizione diventa evidente durante il percorso riabilitativo: una volta che al paziente viene permessa una corretta espressione dei comportamenti ci si rende conto di quanti di essi fossero assenti o decisamente inibiti. Spesso i casi di ansia parossistica sono legati ad episodi di grave autodeplumazione o addirittura autolesionismo improvvisi e di varia durata. Poiché in queste specie mancano i più classici segnali di stress come leccamento delle labbra e schiocco della lingua, la diagnosi dello stato ansioso si dimostra decisamente più complicata. I segnali di maggior interesse sono dunque l’ipervigilanza, l’irrequietezza (pacing e cambio continuo di peso sugli arti), la variazione particolarmente frequente del diametro pupillare o la costante presenza di midriasi accentuata, l’emissione di grida in gruppi di vocalizzazioni costanti per intensità e frequenza. In rari casi si può osservare il paziente ansimare a becco aperto, pur non presentando patologie organiche. E’ importante individuare la presenza di questi segnali sia durante la visita in ambulatorio che indagando a fondo il comportamento del paziente nel suo ambiente domestico: a volte i proprietari negano la presenza di questi sintomi perché non sono stati in grado di leggerli, ma opportunamente istruiti saranno in grado di dare risposte più soddisfacenti ad un secondo incontro. L’ansia si associa alle fobie in caso di fobie multiple o molto gravi o semplicemente per la persistenza in loco dello stimolo fobogeno. In caso di problemi di socializzazione l’ansia è più grave quanto minore è il grado di socializzazione del paziente e quanto maggiori sono i suoi contatti con le specie con cui non è correttamente socializzato. Nella sociopatia a mio avviso c’è un relazione fra la sicurezza del paziente del proprio status sociale e la presenza e la gravità dello stato ansioso: pazienti fermamente saldi nel proprio status difficilmente presentano ansia. In caso di compresenza di più entità nosografiche l’ansia è una costante ed è di grado maggiore. Purtroppo quasi sempre i pazienti aviari arrivano in visita dopo anni di evoluzione della patologia, ne consegue che lo stato ansioso più frequentemente osservabile è quello permanente e l’autodeplumazione il sintomo più evidente.
La terapia dell’ansia
Quando è presente uno stato ansioso, anche se non c’è autodeplumazione, è consigliabile utilizzare sempre una terapia farmacologica. L’ansia riduce la plasticità comportamentale e la disponibilità del paziente a razionalizzare le esperienze, è quindi fondamentale ridurne i livelli per favorire l’apprendimento in situazioni emozionali positive. La fluoxetina (1-2 mg/kg sid o suddivisa in due somministrazioni giornaliere) viene utilizzata soprattutto nei casi di autodeplumazione, poiché è legata ad un grave stato ansioso permanente con tendenza alla depressione. Questo farmaco può anche ridurre sensibilmente il comportamento di aggressione ma con una certa variabilità individuale. Anche la clomipramina (1-2 mg/kg da suddividere in 2 somministrazioni giornaliere) è segnalata per l’autodeplumazione, ma l’autore preferisce utilizzarla nei casi di ansia intermittente. Il dottor Pageat riporta anche la doxepina (1-3 mg/kg da suddividere in 2 somministrazioni giornaliere) e la selegilina (1 mg/kg al mattino), entrambe per la terapia dell’autodeplumazione (ansia permanente). Sono riportate anche la sertralina ()e un antistaminico con moderato effetto sedativo: . L’autore non ha esperienze pratiche in merito a questi ultimi due farmaci. Bisogna ovviamente individuare la patologia responsabile dello stato ansioso e fare una terapia adeguata.
I disturbi dell’attaccamento
La volontà d’inserire un capitolo che tratti di disturbi dell’attaccamento nel pappagallo è provocatoria: gli studi sul cane relativi al legame di attaccamento sono sempe più numerosi e sembrano confermare le analogie rispetto al legame di attaccamento nell’uomo. Ne consegue che molte patologie comportamentali nella specie canina sono favorite e/o peggiorate dal disturbo di attaccamento, che si può considerare uno dei principali fattori patogenetici. Nel pappagallo non esistono studi sul legame di attaccamento ma possiamo immaginare che, trattandosi di animali che nascono inetti e che per periodi anche lunghi dipendono dalle cure parentali per la sopravvivenza, sia presente una sorta di processo di attaccamento anche in queste specie. L’unico dato reale è la frequenza dei sintomi di sofferenza mentale ed emozionale al momento del distacco dalla/e figura/e di attaccamento in pappagalli allevati a mano. Nell’esperienza dell’autore i problemi più frequentemente lamentati dai proprietari di pappagalli con patologie del comportamento sono le grida e l’autodeplumazione/autotraumatismo. Molto spesso durante la raccolta anamnestica risulta evidente come questi sintomi si verifichino in assenza o al momento del distacco dalla/e figura/e di attaccamento. Per distacco intendo anche lo spostarsi fuori dalla vista del pappagallo. Questo indica un’estrema difficoltà nella gestione della lontananza e una visione di se non autonoma: molti pappagalli sono attivi soltanto in presenza dei proprietari, quando non ci sono non fanno nulla, neppure se si lasciano loro dei giochi. Questi sintomi sono pressoché sovrapponibili a quelli tipici del disturbo di attaccamento nel cane e, nell’esperienza dell’autore, sono spesso correlati ad una bassa autostima ed auto-efficacia: i pazienti non si ritengono capaci, non hanno iniziativa, si arrendono subito alla prima dificoltà incontrata. Un’altra similitudine sta incannellatine nei confronti del mondo, ovvero nel modo in cui il paziente tende a porsi nelle relazioni con gli altri individui del gruppo, con gli estranei, con le novità, ecc.
La terapia dei disturbi dell’attaccamento
La terapia farmacologica è importante per la riduzione della sofferenza emozionale del paziente al momento del distacco (qualsiasi distacco) e per aprire delel finestre cognitive attraverso la rigidità causata dallo stato ansioso. La clomipramina e la selegilina possono essere indicate per favorire la presa d’iniziativa del paziente, soprattutto se non sono presenti comportamenti di aggressione. In caso di aggressioni meglio utilizzare la fluoxetina. La terapia comportamentale prevede la creazione di un corretto legame di attaccamento con il gruppo sociale, non con un solo elemento, e l’aumento dell’autostima e dell’autoefficacia, favorendo le prese d’iniziativa corrette e funzionali.
Il disturbo competitivo di relazione
Si tratta di un problema molto frequente. I comportamenti di aggressione presenti sono quelli classici: aggressioni territoriali, competitive e da irritazione. Solitamente il pappagallo sceglie un elemento del gruppo come partner e tenta di gestirne i rapporti, i contatti e le relazioni con gli altri membri del gruppo e con gli estranei, pretende inoltre di gestire i contatti anche fra i membri del gruppo che non ha scelto come partner, anche se in maniera meno evidente rispetto ad esempio al cane. A mio avviso esistono delle forme di sociopatia “latente”, in cui la gestione dei contatti del partner avviene soltanto durante la stagione riproduttiva, ovvero in primavera-inizio estate. Chi si occupa di pappagalli definisce queste aggressioni “sessuali” o “da calore” ma a mio avviso sono unicamente segno di una patologia della relazione in cui i sintomi si esacerbano a causa della stimolazione ormonale, dunque si possono inquadrare nell’ambito del DCR. Se si esaminano a fondo questi casi infatti si possono identificare segnali compatibili con questo tipo di patologia durante tutto l’anno. Spesso si tratta di problematiche relative alla gestione del contatto fisico con il pappagallo, che non sfociano se non raramente in veri e propri comportamenti di aggressione per il solo motivo che il proprietario ha imparato a leggere, più o meno coscientemente, i segnali premonitori dell’aggressione vera e propria, e interrompe il contatto prima che essa avvenga. I soggetti presentano una decisa richiesta di contatto fisico con il proprietario, salvo poi interromperla improvvisamente quando lo preferiscono. Non è mai il proprietario a decidere di iniziare o terminare il contatto con il pappagallo. Molto spesso questi soggetti si lasciano toccare soltanto da una persona in famiglia, quella scelta come partner, anche se non mostrano timore per gli altri membri del gruppo famigliare. Le aggressioni sul cibo nei pappagalli sono rare, molto più spesso si tratta di aggressioni territoriali, scatenate dall’immissione di mani o altri oggetti nella gabbia del pappagallo per porgergli il cibo, cui il pappagallo risponde difendendo quello che considera il suo territorio. I pappagalli affetti da DCR rifiutano costantemente di entrare ed uscire dalla gabbia dietro richiesta dei membri del gruppo famigliare e tipicamente si posizionano su superfici alte, da cui possono dominare il territorio e rendere difficile la cattura da parte dei proprietari, pronti però a scendere qualora non siano più al centro dell’attenzione. Uno dei sintomi tipici della sociopatia in queste specie è dunque la difficoltà, o molto più spesso l’impossibilità, da parte dei proprietari nel gestire gli spostamenti del pappagallo nell’ambito del territorio: questi soggetti finiscono spesso per considerare l’intera casa proprio territorio, non soltanto la gabbia. In questi casi si presentano più facilmente aggressioni territoriali sia ai membri della famiglia che agli estranei. La sequenza tipica dell’aggressione territoriale è molto “teatrale”, con oscillazioni verticali di testa e busto e grida rauche e minacciose, ma purtroppo i pappagalli hanno una forte tendenza a strumentalizzare i comportamenti, compresi quelli di aggressione, e ben presto questa sequenza si perde ed il pappagallo si limita ad aggredire con becco ed artigli l’intruso scagliandosi in silenzio o al massimo mentre emette un grido rauco. Se la sociopatia è l’unica patologia presente pressoché costantemente si hanno aggressioni territoriali, ma nel caso in cui ci sia la compresenza di altre patologie come difetti di socializzazione, paure o fobie (evento purtroppo molto frequente) il pappagallo trova difficoltà nell’espandere il proprio territorio a tutta la casa. In questo caso l’aggressione territoriale si verifica unicamente se vengono immessi oggetti o le mani di una persona nella gabbia, spesso anche se persone o oggetti si avvicinano alla gabbia. Questi pazienti cercano costantemente una posizione alta, anche quando sono sulla persona, e non scendono se non costretti. Possono diventare invece molto aggressivi nel caso in cui l’estraneo tocchi il partner da loro prescelto. purtroppo la presenza di più entità nosografiche è frequente e rende più difficile la diagnosi. Nella maggior parte dei casi si tratta comunque di problemi legati alla paura (di singole persone od oggetti) e a problemi di socializzazione, quindi le sequenze di aggressione presentano alcuni elementi tipici dell’aggressione da paura, come l’eliminazione di feci (a volte anche multipla, durante un’aggressione territoriale prolungata), grida acute o sbattere di ali. Non sembra ci sia correlazione fra la gravità delle aggressioni territoriali e quanto sia saldo l’alto status sociale del pappagallo, si può notare invece un aumento della gravità e della durata delle aggressioni nel caso in cui ci sia compresenza di paura, fobie, squilibri emozionali (pappagalli allevati a mano) o problemi di socializzazione. Le aggressioni da irritazione, come si diceva precedentemente, spesso sono ridotte ai soli segnali premonitori. Ovviamente esistono delle differenze di specie, legate soprattutto al tipo di gruppo sociale formato in natura. I cacatua ad esempio sono particolarmente motivati nella gestione dei contatti del partner, sia umano che pappagallo, mentre invece i cenerini difendono maggiormente il territorio, ma non è un fenomeno costante, ogni caso ogni individuo è un caso a se stante e come tale va considerato. L’evoluzione del DCR è piuttosto tipica: solitamente si presenta alla pubertà ed evolve rapidamente, i comportamenti di aggressione si strumentalizzano con estrema velocità (rispetto a cane e gatto) e presto il pappagallo diventa pressoché inavvicinabile dalla maggior parte del gruppo famigliare, a volte si lascia toccare soltanto da una persona che rappresenta il partner sessuale o il membro del gruppo che ha la comunicazione più impositiva e violenta (non necessariamente in senso fisico): spesso le richieste d’interazione sono impositive, a volte violente. Si tratta di una patologia della relazione ed è quindi evidente all’osservazione come tutto il gruppo famigliare comunichi in modo impositivo, competitivo e violento con il pappagallo o ne subisca l’imposizione. In altre parole il pappagallo sa comunicare unicamente in questo modo e si lascia sopraffare dal più forte del gruppo per poi prendersela con i più deboli. Il gioco in questi pazienti è molto raro e di solito unicamente di tipo competitivo, lo stato ansioso è pressoché costante e spesso si tratta di ansia intermittente. Quando il membro del gruppo da cui il pappagallo si lascia avvicinare riveste il ruolo di partner sessuale il paziente si mostra sovente impositivo, insistente e violento nelle sue richieste di attenzione, pretende d’iniziare e concludere le interazioni, controlla tutte le altre interazioni del partner e le gestisce, spesso con delle aggressioni. Poiché questa patologia si presenta alla pubertà, momento fondamentale per la crescita mentale e lo sviluppo della vita sociale del pappagallo, molto spesso si accompagna ad un difetto di socializzazione (desocializzazione secondaria): se il pappagallo diviene violento i membri del gruppo tenderanno ad interagire sempre meno con lui, ad isolarlo, in un momento molto delicato dello sviluppo. Se le interazioni sono troppo ridotte, tenendo presente che il pappagallo non generalizza con tanta facilità come il cane, un soggetto ben socializzato potrebbe evolvere rapidamente in un paziente poco o per nulla socializzato in pochi mesi, a volte in poche settimane. Nelle specie in cui i tempi di sviluppo sono più lunghi (i grandi cacatua, ad esempio) i tempi di perdita di socializzazione sono dilatati, ma nelle specie a crescita più rapida, come gli inseparabili, si riducono drasticamente. Ecco perché molto spesso dcr e difetto di socializzazione sono così spesso compresenti.
La terapia del disturbo competitivo di relazione
La terapia di questa patologia è farmacologica nel caso in cui ci siano aggressioni, soprattutto se si tratta di pappagalli di medio-grandi dimensioni e dunque potenzialmente pericolosi o se le aggressioni occupano la maggior parte delle risposte alle interazioni inter o intraspecifiche. La fluoxetina ha un discreto effetto di riduzione del comportamenti di aggressione e contiene piuttosto bene le emozioni in queste specie, riducendo l’entità e la frequenza delle fluttuazioni di arousal e quindi i comportamenti impulsivi. In queste specie ci sono alcune segnalazioni sull’utilizzo di psicofarmaci, ma tutte aneddotiche o di singoli casi clinici. È riportato l’utilizzo di questo farmaco alla dose di 1 mg/kg, suddivisa in due somministrazioni giornaliere. L’autore preferisce la mono somministrazione al mattino e, soprattutto nei casi più gravi in cui il paziente presenta serie difficoltà nella gestione delle emozioni, può arrivare anche a 2 mg/kg. Sono riportati anche altri farmaci per ridurre il comportamento di agressione: L’autore utilizza soprattutto la fluoxetina. La leuprorelina o leuprolide è utile in caso di aggressioni stagionali, ma ancora non conosciamo le conseguenze a lungo termine di questa terapia soppressiva sulla produzione di ormoni sessuali. Gli impianti di leuprorelina sono inseribili anche su pappagalli di piccola taglia, ne è riportato l’impianto con successo e senza effetti indesiderati anche in inseparabili o pappagalli ondulati. L’autore preferisce inserire l’impianto sottocute nella zona del dorso, fra le ali. Le modalità di somministrazione del farmaco devono adattarsi al singolo paziente, in modo da facilitarne il più possibile l’assunzione. La terapia di quasi tutte le patologie del comportamento richiede dei tempi prolungati, mesi se non anni, ed è quindi impensabile costringere il gruppo famigliare a somministrare forzatamente il farmaco al paziente per un periodo di tempo così prolungato senza che questo incida sulla relazione, soprattutto in pazienti che presentano comportamenti di aggressione. Quasi tutti i farmaci psicotropi sono presentati in formulazioni poco appetibili per i pazienti aviari, è quindi preferibile richiedere preparazioni galeniche, possibilmente in forma liquida, con l’introduzione di aromi che incontrino maggiormente il gusto di questi animali. L’autore utilizza solitamente la melassa o l’aroma di mela. E’ importante offrire il farmaco all’interno di un rituale già presente in famiglia (ad esempio la condivisione di parte del pasto), a patto che non implichi la somministrazione di alimenti nocivi per il pappagallo, o creare un rituale apposito che venga marcato con emozioni positive prima di inserire il farmaco. Il rituale dev’essere strutturato con un segnale d’inizio, uno svolgimento ed uno di fine. Per il termine si può utilizzare il finito, per le restanti parti non esistono regole precise, sarà importante trovare segnali e cornici di svolgimento che presentino marcature emozionali positive sia per il gruppo famigliare che per il paziente. La prima prescrizione da effettuare, in ogni caso non soltanto in pazienti con dcr, è l’insegnamento al proprietario della comunicazione con il pappagallo. La maggior parte dei clienti non sa leggere correttamente i segnali che il pappagallo invia e si approccia in modo errato: l’eliminazione delle incomprensioni è alla base di una buona relazione. Inoltre la maggior parte delle terapie che prescriviamo richiede che il proprietario sappia comprendere quando il pappagallo fatica a gestire la situazione o sta iniziando ad essere irritato, prima che compaiano crisi di panico o aggressioni vere e proprie. Dunque la lettura dei segnali prodromici è di fondamentale importanza per la buona riuscita di una terapia. Nel caso del dcr la terapia prevede poi soprattutto l’apertura della dimensione collaborativa di relazione. La motivazione a competere a a collaborare sono mutualmente esclusive quindi, in un paziente in cui la motivazione competitiva occupa molto “spazio mentale”, sarà di fondamentale importanza disciplinare questa motivazione ed allenarne altre che offrano modalità diverse d’interazione e di relazione. Tutti i giochi di collaborazione sono ottimi, ma sarà importante scegliere partendo da quelli più adatti alla diade pappagallo-uomo che abbiamo di fronte, me consegue che utilizzeremo giochi diversi con membri diversi del gruppo famigliare, spesso anche trasformando giochi che le persone già fanno con il pappagallo in modo che siano collaborativi e non competitivi. Attività ludiche collaborative sono i problem solving (effettuati assieme al pappagallo, non somministrati perché li risolva da solo) i percorsi ad ostacoli, il corpo come palestra, l’esplorazione guidata degli oggetti, il canto. E’ di fondamentale importanza che ogni attività si svolga con marcature emozionali positive durante tutta la durata, che non ci siano momenti di grande difficoltà o frustrazione, che le persone controllino il livello di arousal del pappagallo e cerchino di mantenerlo ad un livello medio evitando le fluttuazioni, che preludono solitamente alle aggressioni. In questo senso, se il paziente lo permette, è utile che il terapeuta presenti le attività al gruppo e che questo le effettui inizialmente in sua presenza proprio perché tutti imparino a gestirle nel modo migliore possibile. Una possibile alternativa consiste nel chiedere alle persone di filmarsi mentre giocano a casa per poi visionare assieme i filmati e correggere eventuali errori o proporre alternative o integrazioni alle interazioni proposte. Molti pappagalli sociopatici imparano a gridare per ottenere il contatto con i proprietari o anche soltanto uno sguardo. Nel caso dei pappagalli bisogna però considerare che in natura gridano per farsi sentire dagli altri e dunque sono abituati a tenere toni alti per comunicare. La comunicazione continua con gli altri membri del gruppo è fondamentale in questa specie, mentre invece in casa il proprietario vorrebbe che non emettessero mai suoni, se non quando loro richiesto. Questo non è possibile, ma si può sicuramente migliorare la comunicazione fra proprietario e pappagallo creando delle semplici sequenze comunicative che non implicano l’uso della voce. Si può effettuare il codaggio di un comportamento, di un semplice movimento come il sollevamento della cresta nel cacatua ad esempio, per trasformarlo in un metodo di comunicazione alternativo alla voce. Il codaggio è un metodo di addestramento utilizzato spesso nei parchi zoologici per ottenere un determinato atteggiamento da un animale con un preciso movimento, che fa da segnale d’inizio. Come prima cosa, ogni volta che il pappagallo effettua il comportamento che si vuole “codare”, il proprietario fa un certo movimento, ad esempio ogni volta che il pappagallo alza la cresta il proprietario alza il dito indice, tenendo la mano ben in vista. Subito dopo il proprietario parla con voce soddisfatta al pappagallo, dicendogli bravo e seguitando ancora per qualche secondo con altre parole. Presto il pappagallo apprenderà a sollevare la cresta ogni volta che il proprietario alzerà il dito e sarà sufficiente, per soddisfare la sua esigenza di continuo contatto con il gruppo, che il proprietario si affacci ogni tanto o, mentre passa davanti alla gabbia, alzi un dito e dica qualcosa di gentile al pappagallo appena avrà alzato la cresta. Un altro mezzo comunicativo è il richiamo di contatto o il canto in coro o a seguire: il richiamo può sostituire le grida di pretesa del pappagallo e il canto in coro o a seguire possono rappresentare un’interazione vocale prolungata, che soddisfa le esigenze etologiche del pappagallo ma contemporaneamente allena la motivazione a collaborare. È importante che il gruppo sociale ignori le richieste impositive del pappagallo e gli proponga invece, appena smette, un richiamo di contatto non gridato, che può essere sia una frase (ES: “sono qui”) che un suono (lieve fischio o schiocco della lingua o delle labbra). Questo richiamo dev’essere ripetuto spesso durante la giornata, anche senza arrivare in vista del pappagallo, e lo si può utilizzare per rispondere ai richiami del pappagallo che non sono grida e che sono adeguati per quel gruppo sociale. Il canto rappresenta invece una proposta d’interazione più complessa e prolungata, che allena moltissimo la motivazione collaborativa attraverso un canale comunicativo primario per il pappagallo e con modalità che sono estremamente gratificanti per queste specie. Si può iniziare proponendo al paziente un semplice motivetto cantato o fischiato, l’importante è che il suono non venga emesso rivolgendosi direttamente a lui ma passandogli davanti mentre si è impegnati in altre attività. Insomma i membri del gruppo dovrebbero cantare o fischiare mentre sono impegnate nelle attività quotidiane. È possibile anche sfruttare la motivazione competitiva del pappagallo, in questo modo disciplinandola: due o più membri del gruppo possono cantare o fischiare un motivo rivolgendosi l’uno all’altro, ridendo e mostrando di divertirsi molto. Si può cantare assieme oppure cantare uno di seguito all’altro. Quando il pappagallo mostrerà interesse sporgendosi verso chi canta ed iniziando ad emettere piccoli suoni una persona potrà rivolgerglisi direttamente cantando o fischiando un pezzo del motivo. E’ importante non aspettare che il pappagallo emetta suoni eccessivi ma coinvolgerlo nel dialogo appena si mostra interessato, ai primi suoni emessi, per evitare che sperimenti la frustrazione di essere escluso ed inizi a pretendere l’interazione con le modalità che gli sono famigliari, ovvero in modo impositivo. Con il tempo sarà il paziente stesso a proporre una parte del motivo per iniziare il dialogo, a questo punto sarà importante rispondere quando il suono non è troppo forte, sia scegliendo di cantare con lui sia dicendogli che non è il momento, ovvero dandogli il finito. È di fondamentale importanza, quando si interagisce con un paziente con dcr, che sia il gruppo sociale e non il paziente a gestire le interazioni. Ecco che si rende necessario un segnale di fine, che spieghi al pappagallo quando l’interazione è terminata, il finito può essere molto utile ed è sicuramente meglio del “basta”, che spesso viene utilizzato dal gruppo quando non ne può più delle richieste del paziente (che in questo caso possono essere veramente insistenti ed invadenti) e che quindi è associato ad un portato emozionale decisamente negativo, sia per le persone che per il pappagallo. La gestione delle interazioni è molto importante per modificare i ruoli all’interno del gruppo sociale. Un pappagallo affetto da dcr solitamente inizia e finisce le interazioni, spesso in modo impositivo o addirittura violento (come nel caso delle aggressioni per interrompere il contatto durante le coccole). E’ di fondamentale importanza che siano i membri del gruppo sociale e non il paziente a gestire le interazioni, prendendo l’iniziativa e proponendo attività o dialoghi e smettendo quando ancora il paziente è positivamente coinvolto. Se il pappagallo si propone, soprattutto se lo fa nel modo sbagliato, le persone possono comunicargli il finito e, dopo alcuni secondi o minuti a seconda del grado di eccitazione del pappagallo, proporsi quando è più calmo.
I difetti di socializzazione
Si tratta di patologie molto, molto frequenti. Nel caso di soggetti di cattura ci si trova di fronte ad un paziente selvatico, totalmente non socializzato, che richiede un lungo periodo di adattamento per abituarsi alla presenza dell’uomo. In questo caso non si può parlare certo di processo di socializzazione, ma semplicemente di adattamento. In realtà i problemi più gravi si hanno nei soggetti allevati a mano, che presentano una parziale socializzazione con l’uomo dovuta all’impregnazione nei confronti dell’allevatore, ma che spesso è associata ad esperienze negative come l’alimentazione con la sonda, una manipolazione brusca e troppo breve, ecc. Inoltre si tende a considerare un soggetto allevato a mano come “socializzato con l’uomo”: questo è assolutamente falso. Il pappagallo allevato a mano presenta soltanto un’impregnazione iniziale e spesso ad una sola persona, l’allevatore. Il proprietario che adotta un giovane pappagallo, che lo nutre, rappresenta per lui la figura genitoriale (materna o paterna o entrambe a seconda delle abitudini comportamentali della specie) e dunque, grazie all’impregnazione precedente, difficilmente avrà problemi di socializzazione con il pappagallo, anche se probabilmente avrà molti altri problemi relazionali, soprattutto quando gli ormoni sessuali inizieranno a stimolare il cervello del paziente portando nuove, forti emozioni, che un pappagallo che non ha avuto un buon processo di attaccamento difficilmente saprà controllare. Ma se il pappagallo non viene manipolato da più persone, non viene in contatto con una vasta gamma di soggetti umani nel corso del suo sviluppo comportamentale non si potrà considerare correttamente socializzato: i pappagalli difficilmente generalizzano nel processo di socializzazione, dunque necessitano di un’esperienza ampia e varia, sempre positiva, per socializzare con un’altra specie. Nel caso in cui l’esperienza con l’allevatore sia stata negativa si avranno problemi di paure sin dai primi giorni, così come in caso di sovrastimolazione in età neonatale (vedi capitolo sullo sviluppo comportamentale). Un soggetto non socializzato sviluppa costantemente una fobia sociale che tende a presentarsi facilmente con comportamenti di aggressione per distanziare lo stimolo fobogeno. In altri casi il pappagallo ha degli attacchi di panico alla vista delle persone e tenta la fuga provocandosi gravi lesioni, sia che sia in gabbia sia che sia libero. Spesso alla fobia iniziale se ne aggiungono altre, derivate dal comportamento di reazione dei proprietari alle aggressioni del pappagallo: paura di oggetti o suoni utilizzati per punire o allontanare il pappagallo che aggredisce. In casi molto gravi di fobie multiple il paziente si rifiuta di uscire dalla gabbia e presenta ansia permanente con evoluzione in depressione. Molto spesso il difetto di socializzazione è correlato e coevolve con il DCR (vedi capitolo precedente) oppure è compreso in una patologia più ampia è molto, molto frequente nei pappagalli: la sindrome da privazione sensoriale.
La terapia dei difetti di socializzazione
La terapia di questa patologia richiede la fluoxetina in caso di aggressioni o la clomipramina o la selegilina in caso di inibizione e mancanza di presa d’iniziativa. La terapia comportamentale è lunga e complessa e caratterizzata da piccoli miglioramenti dilazionati nel tempo. È di fondamentale importanza far comprendere al proprietario come quello che all’apparenza sembra soltanto un piccolo miglioramento per noi sia in effetti per il paziente un grande traguardo e come tale vada premiato. Ogni piccolo miglioramento dev’essere fatto notare al gruppo famigliare per motivarlo a proseguire nella terapia soprattutto inizialmente, poiché le capacità di comprendere la comunicazione e le emozioni del pappagallo non saranno elevate nel gruppo e i miglioramenti saranno molto, molto ridotti. Poiché il pappagallo è comunque un animale selvatico è difficile, se non si tratta di un soggetto giovane, socializzarlo completamente e con totale successo all’uomo. La terapia prevede esercizi di presa di contatto, inizialmente con distanze anche elevate a seconda della capacità di gestione del paziente. Il proprietario dovrà guardare il pappagallo non direttamente, ma mantenendolo nel proprio campo visivo e chiudendo spesso gli occhi, senza spalancarli e mantenendo un atteggiamento rilassato. L’uso di tutti i segnali di pacificazione e delle attività di sostituzione descritte nel capitolo sulla comunicazione è di grande utilità in questa prima fase. Inizialmente si può posizionare la gabbia del pappagallo in un luogo riparato da cui però egli possa osservare il suo gruppo sociale muoversi ed effettuare tutte le normali attività quotidiane. In caso di pazienti molto gravi si può anche coprire parzialmente la gabbia con un telo con dei buchi o mettere una pianta a parziale copertura, in modo che possa nascondersi ed osservare senza essere visto. Permettere ad un pappagallo non socializzato di uscire dalla gabbia da solo è controproducente, poiché al momento di rimetterlo in gabbia lo si dovrà costringere e questo non migliorerà certo la relazione con il proprietario. E’ dunque importante prevedere una gabbia molto grande, con un ottimo arricchimento ambientale. È importante comprendere quali oggetti il pappagallo non teme ed utilizzarli come arricchimento ambientale in gabbia: soprattutto nei pazienti totalmente selvatici, in cui il livello di socializzazione è nullo, l’utilizzo dell’esplorazione guidata di un oggetto da parte delle persone è controproducente, poiché il paziente le teme e non si fida di loro e quindi ogni oggetto da loro presentato può essere considerato pericoloso. Meglio utilizzare l’oggetto ignorando il paziente e rimanendo ad opportuna distanza per non elicitare emozioni negative, ma sfruttare le caratteristiche di specie relative all’apprendimento sociale e alle attività di sostituzione come comportamenti di pacificazione. Il proprietario dovrà sempre fornire il cibo al pappagallo personalmente, se ci sono più membri nella famiglia sarebbe meglio che lo facessero tutti a turno poiché il pappagallo non generalizza facilmente e tende a socializzare con la singola persona. Meglio evitare il contatto visivo soprattutto nelle fasi iniziali di approccio e cercare di ridurre al minino il tempo di permanenza delle mani nella gabbia. Si può iniziare la presa di contatto fisico attraverso la gabbia, offrendo del cibo al pappagallo. Si possono poi offrire vari oggetti, utilizzando le metocihe comunicative descritte nel capitolo dedicato alla comunicazione. Una volta preso contatto in questo modo si può passare a chiedere di salire sulla mano aprendo la gabbia. Inizialmente si può aprire la gabbia ed offrire oggetti e/o premi, poi allontanarsi e lasciare che il pappagallo comprenda che lo sportello aperto non rappresenta un pericolo. Quando il pappagallo permetterà l’avvicinamento a sportello aperto senza intimorirsi o aggredire si potrà passare a chiedere di salire sulla mano, mantenendola ferma e stabile come un posatoio e facilitando la presa di contatto per mezzo del gioco e l’utilizzo di segnali calmanti. Si può mettere del cibo sulla mano e lasciare che il pappagallo la esplori. Quando il pappagallo sale la prima cosa che deve comprendere è che può scendere quando vuole e che la mano non si muove. Quando il pappagallo si troverà a suo agio sulla mano il proprietario potrà iniziare a spostarle verso l’uscita, con lo scopo di far uscire il paziente. Il processo dovrà essere molto graduale e il paziente dovrà essere riportato al punto di origine non appena si mostra in lieve difficoltà. E’ bene che al pappagallo venga permesso di uscire dalla gabbia soltanto quando sale sulla mano del proprietario con facilità e correttamente alla sua richiesta. La prima volta l’uscita deve essere molto breve, soltanto all’interno della stanza dove si trova la gabbia, e non ci devono essere suoni o persone diverse che potrebbero causare fughe. Le uscite dovranno essere gradualmente più lunghe e su di un’area sempre più vasta della casa. Una volta che il pappagallo sarà abituato a girare la casa sulla mano del proprietario gli si potrà permettere di esplorare oggetti offerti dai membri della famiglia e si potranno iniziare le attività collaborative. Le attività ludiche di corpo come palestra, i percorsi ad ostacoli e l’esplorazione guidata di oggetti e luoghi aiutano a creare una relazione di fiducia e a far apprezzare al paziente il contatto con il corpo delle persone in una situazione di benessee psichico e rilassamento. Per i pazienti più timorosi è meglio iniziare gli esercizi non offrendo i premi in cibo dalle mani ma mettendoli in terra o sul corpo della persona da esplorare. Per quei pazienti che sono socializzati soltanto con un membro della famiglia questo può fare da mediatore fra il pappagallo e gli altri membri del gruppo, ad esempio guidando il pappagallo a percorrere il corpo di un’altra persona che rimane ferma. In un secondo momento, o nei pazienti che non presentano gravi difetti di socializzazione, si può utilizzare il gioco del richiamo: due persone si posizionano vicine e il pappagallo parte dalla mano della persona con cui ha più famigliarità. Questa persona indica al pappagallo l’altro giocatore, che sta manipolando un gioco che il paziente ama molto. Quando il pappagallo si mostra interessato al gioco la persona glielo offre e, quando lo tocca, viene premiato prima da questa con un bravo e poi dall’altra con un premio in cibo. Con il tempo si aumenta la distanza fra le persone, magari interponendo uno spazio che il pappagallo può percorrere facilmente come un tavolo (su cui si trova a suo agio) e si richiama a turno l’attenzione del pappagallo con la stessa metodica, premiandolo con voce e cibo quando arriva. il numero di giocatori può essere progressivamente aumentato, partendo sempre da quelle che il pappagall oconosce meglio ed inserendo man mano gli altri, che entreranno nel punto più lontano dal pappagallo e con una corretta prossemica e cinetica.
La sindrome da privazione sensoriale
L’autore ritiene che la maggior parte dei pappagalli non riceva una corretta stimolazione durante lo sviluppo e dunque che pressochè ogni paziente che viene presentato in visita debba essere considerato ipostimolato e presenti un certo grado di privazione sensoriale. Purtroppo non esistono studi scientifici in merito al processo di attaccamento nel pappagallo ed all’influenza che ha sul modo di porsi nei confronti del mondo e delle relazioni con gli altri, conspecifici e non, tutavia l’autore ha potuto osservare che la maggior parte dei pazienti con sindrome da privazione sensoriale sono pappagalli allevati a mano e che in questi molto spesso la patologia presenta un’insorgenza diversa rispetto ai pappagalli allevati da genitori conspecifici. I giovani pappagalli allevati a mano si mostrano infatti socievoli e disponibili all’interazione, curiosi ed esplorativi nelle prime settimane dopo l’adozione, per poi progressivamente ridurre la fiducia nei confronti del nuovo e presentare sempre più frequentemente comportamenti d’inibizione o di fuga anche in situazioni in cui in precedenza si erano mostrati curiosi. La diffidenza è normale nei pappagalli puberi ed adulti, ma non lo è in quelli giovani. L’autore sospetta che il problema risieda nel modello di attaccamento errato dovuto all’allevamento da parte di un non conspecifico, che non comprendendo a fondo la comunicazione, gli stati emozionali e le esigenze di un pullus non è stato per esso una base sicura. Un’altra possibilità potrebbe essere un difetto nel modello di attaccamento secondario, ovvero il gruppo famigliare, che non è in grado di affiancare e supportare correttamente il giovane, troppo giovane, pappagallo nel suo percorso di conoscenza del mondo e degli individui che lo popolano. Insomma il problema non risiede soltanto nella carenza quantitativa di esperienze, comunque quasi sempre presente, ma anche nella loro scarsa qualità. Se non c’è un individuo, o più individui, di riferimento il pappagallo diviene sempre più insicuro, diffidente e tutte le esperienze che fa sono connotate da emozioni negative: ansia, timore, paura, perdita, solitudine, ecc. Questo genera una difficoltà ed un’inadeguatezza crescente a far fronte alla vita quotidiana, ed esita nella sindrome da privazione sensoriale. Quando si valuta un pappagallo bisogna tener presente che è davvero difficile fornire ad una specie preda selvatica tutti gli strumenti necessari per vivere bene in un ambiente famigliare umano di città, proprio perché si tratta di un habitat per molti versi diametralmente opposto a quello in cui vive un pappagallo in natura. Si potrebbe pensare che un pappagallo di questo tipo potrebbe vivere benissimo in una voliera esterna ampia, con alberi e piante a disposizione. Purtroppo però non è così: sono pochissimi i pappagalli che escono fuori di casa in libertà, anche soltanto in un trasportino o per una passeggiata con il proprietario, ne consegue che molti pappagalli vengono letteralmente presi dal panico quando si trovano senza un soffitto sulla testa, ovvero hanno paura del cielo. Un altro elemento da considerare, e di cui non si conosce realmente l’importanza, è il ruolo dei raggi ultravioletti nell’identificazione del cibo e dei membri del gruppo nei pappagalli. Essi sono infatti in grado di vedere queste lunghezze d’onda della luce, che purtroppo vengono filtrate dai vetri delle finestre riducendo quindi l’entità della stimolazione visiva nei soggetti che vivono unicamente in casa. Sicuramente questa carenza influenza lo sviluppo mentale del pappagallo, ma non si sa come. In ogni caso i pazienti affetti da sindrome da privazione sensoriale sono molto rigidi nei loro comportamenti, richiedono codici di condotta molto precisi e cornici definite per poter essere avvicinati (esempio: il pappagallo si lascia toccare soltanto sul divano, la sera, quando stiamo guardando la televisione) e sono estremamente neofobici. Difficilmente giocano con oggetti e, se lo fanno, scelgono una o due categorie di materiale o proprio degli oggetti precisi e toccano soltanto quelli (le penne, le matite, la carta, il legno, ecc). Spesso gridano se l’unica persona cui si sono legati (il legame con un solo membro del gruppo è quasi una costante in tutte le patologie del comportamento del pappagallo) si allontana o anche soltanto scompare alla vista. Questi pazienti possono avere attacchi di panico anche per il più piccolo stimolo, a volte i proprietari non riescono a definirne la causa perché per loro si tratta di qualcosa di totalmente innocuo e normale. La reazione a ciò che li spaventa può essere sia la fuga che l’aggressione, quindi molti pazienti presentano aggressioni da irritazione, da paura e/o territoriali. Tutte le aggressioni sono volte ad allontanare ciò che spaventa il paziente, ma con il tempo la mania di controllo prende il sopravvento e le aggressioni si verificano anche per controllare gli altri membri del gruppo, i loro spostamenti, le loro interazioni. Con l’evolversi della patologia l’ansia si trasforma da intermittente in permanente e l’inibizione diviene il sintomo preponderante, spesso accompagnata dall’autodeplumazione, dall’autotraumatismo o da altre forme di stereotipia, come il succhiamento delle dita o il rosicchiamento delle sbarre della gabbia. Molto spesso c’è una oggettiva difficoltà a prendere sonno, più precisamente a rilassarsi abbastanza da poter dormire: questi pazienti necessitano di un rituale di qualche tipo per potersi rilassare al punto di prendere sonno. Alcuni pazienti dormono soltanto se sono vicini ad un certo oggetto, che a volte devono anche toccare, oppure in un unico luogo, o soltanto se prima hanno esplorato il luogo di riposo con una sequenza ben precisa, ecc.
La terapia della sindrome da privazione sensoriale
Nessuna terapia in queste specie può prescindere da un adeguato e vario arricchimento ambientale. I giochi devono adattarsi alla taglia ed alle abitudini di ogni singola specie e devono essere introdotti tenendo in considerazione il tipo di patologia del paziente: nel caso di un fobico, ad esempio, l’inserimento dovrà essere molto graduale e sempre accompagnato dal supporto del proprietario per facilitare l’esplorazione. Mai inserire un elemento nuovo direttamente nella gabbia: è molto probabile che venga visto come un intruso potenzialmente pericoloso e aggredito oppure evitato, portando ad uno stato di ansia e timore del paziente, che vedrà violata anche la sicurezza prima rappresentata dalla propria gabbia. La presentazione di nuovi oggetti che faranno parte dell’arricchimento ambientale diviene anche un mezzo per aumentare il piano prossimale di esperienza del paziente, tramite la mediazione da parte del gruppo famigliare. E’ molto importante che il paziente si senta protetto e rassicurato dal gruppo famigliare, che deve comprendere appieno le sue manifestazioni di timore ed evitare di esporlo a difficoltà eccessive. La terapia infatti pevede si di aumentare il piano prossimale di esperienza del pappagallo, ma attraverso l’accreditamento del gruppo famigliare nel ruolo di guida, poiché il paziente da solo non è in grado di gestire l’ambiente e gli stimoli che lo circondano. Ecco dunque che le attività di corpo come palestra, percorsi ad ostacoli e problem solving collaborativi, assieme all’esplorazione assistita degli oggetti, divengono attività ludiche adatte alla riabilitazione. Poiché una delle maggiori difficoltà di questi pazienti consiste nel sentirsi al sicuro in un luogo è estremamente utile individuare una cornice adeguata per le attività, che il pappagallo abbia la possibilità di conoscere con calma e senza obblighi, in cui poi tutte le attività nuove verranno svolte inizialmente. Può essere utile scegliere un tavolo o un ripiano non troppo ampio, su cui verranno sistemati gli oggetti che serviranno per le attività prima che arrivi il pappagallo. Anche le persone coinvolte, tranne quella cui il pappagallo è maggiormente legato e che avrà il compito di portarlo al tavolo, dovranno sedersi prima attorno ad esso in posizione neutrale. È sempre meglio iniziare dalla presentazione e dal coinvolgimento del paziente in attività che implichino l’uso di oggetti o materiali già conosciuti, che possono venire combinati o posizionati in modo insolito, per poi gradualmente inserire materiali o oggetti nuovi in combinazione a quelli noti. Anche in questo caso la lettura dei segnali emozionali e di comunicazione emessi dal paziente è essenziale per la buona riuscita delle attività. Il paziente non dovrà mai trovarsi in difficoltà eccessiva e dovrà sempre riuscire nelle attività, che dovranno essere terminate non appena egli raggiunge un obiettivo e prima che si stanchi. Un’attività essenziale per il benessere del pappagallo e per aumentare il suo piano prossimale d’esperienza è l’uscita in esterni. A questo scopo il training su ingresso ed uscita dal trasportino e la marcatura emozionale dello stesso con emozioni positive forniscono competenze essenziali per un’uscita piacevole e costruttiva. Il trasportino dev’essere di plastica e chiuso sopra ed ai lati, come quelli classici da gatto, e fornito di un posatoio, di un materiale antiscivolo sul pavimento e di un gioco che il pappagallo ama molto, in modo che si senta al sicuro. L’uso di un oggetto come mezzo per rassicurare il paziente è molto utile per facilitare l’esplorazione di un luogo nuovo o l’avvicinamento ad una persona. Il tasportino viene posizionato sul tavolo dove il pappagallo effettua le attività ludiche, inizialmente in posizione defilata, e si presentano al paziente giochi ed attività che lo portano ad avvicinarlo. Si possono poi mettere giochi vicino e gradualmente dentro. Quando il pappagallo entra volentieri nel trasportino si può iniziare ad allenare ingresso ed uscita, meglio se con un target come una cannuccia (che si può infilare fra le sbarre del fondo e indicare facilmente al pappagallo la strada da seguire, mentre con la mano l’ingresso sarebbe bloccato dal braccio. Quando il paziente apprende ad entrare ed uscire seguendo il target si può inserire lo sportello, far entrare il pappagallo, lasciargli un gioco o del cibo a disposizione ed accostare lo sportello gradualmente, avendo cura di riaprirlo immediatamente appena egli si gira a guardarlo o mostra il desiderio di uscire. La chiusura sarà molto graduale perché il pappagallo non rimanga chiuso senza sentirsi a suo agio dentro al trasportino. A questo punto sarà possibile effettuare delle uscite in passeggiata, portando il paziente prima in luoghi molto tranquilli ed in seguito in aree gradualmente più ricche di stimoli. In alcuni casi, valutando molto bene il modo in cui il pappagallo utilizza il volo per fuggire e soltanto dopo aver creato una relazione di fiducia con il gruppo sociale, si può procedere al taglio delle penne remiganti delle ali, da effettuarsi soltanto ad opera di un veterinario esperto in uccelli e, per i pazienti molto timorosi, in anestesia, per favorire le uscite anche fuori dal trasportino senza timore di fughe. Questo permette di ridurre i tempi ed arrivare prima all’uscita fuori dal trasportino ma, soprattutto in pazienti deprivati, il rischio è di un’aggravamento dei sintomi qualora il paziente si trovi in situazioni di difficoltà, tenti di fuggire e si finisca in terra o impossibilitato a volare.
Le fobie
Sono poco frequenti come singola patologia, più spesso sono associate a problemi più complessi come privazione sensoriale o problemi di socializzazione. Raramente un paziente presenta un’unica fobia, più spesso al momento della visita le fobie sono multiple, spesso le più recenti sono derivate dalle più remote, associabili sia perché presenti nello stesso contesto che perché relative alla reazione del proprietario o del gruppo famigliare nel corso degli episodi fobici. I pappagalli tendono a sviluppare facilmente fobie in seguito ad esperienze di paura e tendono a generalizzare facilmente in questo caso. Lo stato di parziale privazione sensoriale in cui frequentemente si trovano probabilmente facilita questo processo. Nella maggior parte dei casi la reazione è la fuga, il tentativo di nascondersi porta il paziente ad esporsi a rischi piuttosto gravi che di solito esitano in traumi da volo scomposto e disattento, ma può anche comportare comportamenti di minaccia con grida acute, oppure aggressioni.
La terapia delle fobie
Nella terapia riabilitativa in questo caso bisogna innanzitutto lavorare per rinsaldare il legame con il gruppo famigliare, per favorire il superamento della patologia ed accelerare la terapia. L’arricchimento ambientale, soprattutto con giochi intelligenti, è fondamentale, assieme alle attività collaborative con la famiglia. Il concentrarsi sull’accettazione della situazione che genera la fobia non è mai d’aiuto, meglio far si che il paziente si riferisca al proprio gruppo famigliare come a delle basi sicure e, attraverso questa relazione rassicurante e incoraggiante per il paziente aumentarne il piano prossimale di esperienza, in modo che acquisisca le competenze necessarie per comprendere e gestire anche le situazioni fobogene. Un’altra possibilità consiste nell’utlizzo di tecniche di manipolazione rilassanti che aiutino il cane a gestire le emozioni negative in corso di episodi fobici. Nel pappagallo il contatto con le guance e la fronte può essere allenato per evocare un senso di relax: allenando questo tipo di contatto rilassante in situazioni di calma, meglio se facendolo precedere da un segnale che indica l’inizio del contatto rilassante, per poi utilizzarlo non appena si presenta una situazione che potrebbe essere fobogena. Un’altra possibilità consiste nell’utilizzo di una sorta di tana in cui il pappagallo possa rifugiarsi quando si trova in difficoltà, che lo aiuti a calmarsi e rilassarsi. Si possono utilizzare oggetti e materiali diversi, sfruttando le preferenze individuali di ciascun paziente (sia di materiale che di forma): un trasportino in plastica o in stoffa, un telo di pile, una tendina da gatto, ecc. E’ importante sottolineare che la tana non dev’essere soltanto un rifugio sicuro, ma anche un luogo marcato con emozioni positive. Il lavoro descritto sul trasportino nella terapia della sindrome da privazione sensoriale può essere utilizzato anche per ottenere una tana sicura per il paziente fobico. Questa tana potrà essere lasciata a disposizione al pappagallo perché possa rifugiarvisi e trovare la tranquillità in tutte le situazioni di fobia. Non dev’essere però l’unica soluzione attuata perché altrimenti sarà l’unica risposta possibile del paziente alle situazioni fobogene.
AUTODEPLUMAZIONE
FONTE : SIVAE
Settore: Animali esotici
Disciplina: Etologia-Terapia comportamentale
La diagnosi e le indicazioni terapeutiche delle patologie del comportamento dei pappagalli sono state discusse dalla Dottoressa Marzia Possenti durante il Corso di medicina comportamentale dei nuovi animali da compagnia.
Alcuni farmaci citati possono essere fuori commercio, questo è un’articolo a SOLO scopo informativo, per ogni dubbio rivolgetevi sempre al vostro veterinario aviario di fiducia!!!